 GIOVANNI RINALDI e PAOLA SOBRERO
 
                GIOVANNI RINALDI e PAOLA SOBRERO
                La memoria che resta
                Vita quotidiana, mito e storia dei braccianti nel 
                Tavoliere di Puglia
                prefazione di Alessandro Piva
                pp. 
                400, 142 fotografie in bianco e nero e a colori, 2 cd audio. 
                Euro 22,00 
                
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              RECENSIONI
              Nuovo Quotidiano di Puglia 
                - Cultura e Spettacoli. 8 marzo 2005 
                La nuova edizione de "La memoria che resta" sulle storie dei braccianti 
                nel Tavoliere di Puglia 
                di Sergio Torsello 
                
                Ecco il grande libro dei braccianti del Tavoliere. Quattrocento 
                pagine costruite attorno a sessanta narrazioni di lavoratori della 
                terra, cinquantatre canti di lavoro e di protesta, centoquaranta 
                foto. Testimonianze che raccontano storie di vita ai limiti della 
                sussistenza, memorie di una lunga stagione di lotte per la conquista 
                di migliori condizioni di lavoro nelle campagne. È uno straordinario 
                spaccato di storia sociale quello che emerge dalle pagine de "La 
                memoria che resta. Vita quotidiana, mito e storia dei braccianti 
                nel Tavoliere di Puglia" (Aramirè, 2004, pp.396, libro più 2 CD, 
                euro 22,00) di Gianni Rinaldi e Paola Sobrero che meritoriamente 
                le leccesi edizioni Aramirè di Roberto Raheli rimandano in libreria 
                in una nuova edizione a più di vent'anni dalla prima pubblicazione. 
                Apparso originariamente nel 1981, sulla scia del nascente movimento 
                di storia orale che privilegiava il campo di indagine della soggettività 
                e delle storie di vita delle classi subalterne, il libro ha avuto 
                un destino per molti versi simile a quello delle storie che racconta. 
                Vicende di una memoria "sommersa e ignorata". Che s'inabissa e 
                riemerge, rivive e si rinnova nella narrazione. Solo recentemente, 
                infatti, i fertili incontri con musica e teatro (dal libro sono 
                tratti un'opera teatrale, "Braccianti", e l'ultimo, raffinato 
                disco di Umberto Sangiovanni) avevano contribuito a far riaffiorare 
                dall'oblio il libro e le storie che raccoglie. Storie che partono 
                da lontano, a cavallo tra Otto e Novecento, quando l'"innovazione" 
                capitalistica delle campagne trasformò masse di contadini in braccianti 
                salariati. E raccontano una vicenda culturale "che ci appartiene 
                profondamente- scrive nell'introduzione Alessandro Piva, il regista 
                della 'Capagira', annunciando il progetto di un film - ma che 
                nel giro di un paio di generazioni ci è sfuggita di mano". Per 
                ricomporre in un quadro unitario i frammenti di una memoria smarrita 
                nella diaspora dalle campagne, i due autori hanno condotto, tra 
                il 1974 e il 1980, nell'ambito di un progetto per la costituzione 
                di un Archivio della cultura di base della Provincia di Foggia, 
                una lunga ricerca sul campo. Hanno raccolto decine e decine di 
                testimonianze di protagonisti di quella stagione che quasi mai 
                avevano trovato spazio nella pur abbondante bibliografia sull'argomento. 
                Braccianti, militanti di sindacati e di partiti della sinistra 
                che rievocano le disumane condizioni di sfruttamento nelle masserie, 
                l'affacciarsi sulla scena del sindacalismo rivoluzionario, il 
                mito di Giuseppe Di Vittorio (in cui si riversano istanze di classe 
                e "attributi sacrali "), l'immaginario simbolico e ideologico 
                che si mobilita attorno alla "liturgia laica" del Primo Maggio, 
                l'opposizione al fascismo, i fatti del dopoguerra. E poi la ricerca 
                sul canto popolare bracciantile (con l'apporto di Franco Coggiola), 
                le foto di Paolo Longo, le note bibliografiche di Linda Giuva 
                a completare un libro corale in cui si incrociano magistralmente 
                storia orale, storiografia locale e indagine etnoantropolgica. 
                Così, attraverso le "voci narranti" dei protagonisti, "La memoria 
                che resta" scava nello spazio equidistante tra dimensione individuale 
                e grande esperienza collettiva, tra microstoria e grande storia. 
                Quello spazio dell'esperienza sociale (e politica) dell'individuo 
                all''ntemo del quale prende corpo l'elaborazione di una memoria 
                comune, di un'identità condivisa. È la memoria che sopravvive 
                all'oblio. Memoria che resta, appunto.